di Lorena Rocca
Geografia e storia sono due discipline con molti elementi in comune: temi, strumenti, concetti, ma soprattutto la complementarietà dei due modelli di organizzazione delle conoscenze (l’ermeneutica, l’epistemologia): l’uno non può fare a meno dell’altro. Per conoscere l’evoluzione storica dell’uomo non si può fare a meno della sua dimensione spaziale, per comprendere la sua dimensione spaziale non si può fare a meno della sua evoluzione storica. Nel ripercorrere l’intreccio tra questi due ambiti non si può non ricordare Fernand Braudel che, per coniare il proprio concetto di “civiltà”, ha avuto bisogno di raccontare il Mediterraneo. Si tratta di un’operazione storiografica che muta radicalmente la rappresentazione storica del mondo: i “fatti” non vengono ordinati verticalmente in serie cronologiche temporali, bensì disposti comparativamente in una relazione spaziale. Il primato dell’“evento” (histoire-bataille) lascia il posto allo studio delle “strutture” (economiche, sociali, mentali). Si può ben dire che, senza l’apporto della scienza geografica, non vi sarebbe stata la rivoluzione storiografica intrapresa dalle “Annales”.
Uno studio esplorativo (Rocca, 2010) che ha evidenziato alcune criticità relative all’apprendimento-insegnamento della geografia e della storia nel nuovo sistema dei licei e in alcune realtà universitarie. In particolare si è rilevato che: a) i fenomeni storici e gli elementi geografici vengono spesso visti come fatti oggettivi da recepire passivamente e da memorizzare, e non come parte di un processo attivo di interpretazione della realtà; b) la circolarità dei programmi (veicolata dai libri di testo) punta l’attenzione verso “una sola” geografia, spesso ricondotta unicamente alle descrizioni fisiche, politiche ed economico-sociali del territorio; c) la visione limitata delle potenzialità della geografia è spesso conseguenza del fraintendimento del lessico di base (ad es. uso di “spazio”, “territorio”, “ambiente”, “luogo”, “paesaggio”, come sinonimi); d) vi è una notevole difficoltà ad analizzare un “fatto” in modo multiscalare, sia nella dimensione diacronica che sincronica; e) altro elemento deficitario è l’impiego delle carte mentali come quadro di riferimento opportuno per comprendere i processi che si sono succeduti nel tempo e contestualizzare l’apprendimento; f) appare frammentario e non coerentemente progettato l’utilizzo della varietà dei linguaggi geo-grafici, funzionali allo sviluppo delle “intelligenze multiple” teorizzate da Gardner; g) di conseguenza anche l’uso dei mediatori didattici (film, narrativa, multimedialità, ecc …) e delle opportunità offerte dall’e-learning – che possono essere il veicolo trasversale per delineare percorsi transdisciplinari – è modesto e mal progettato; g) il contatto con il territorio è assolutamente insufficiente e finisce per trasformare la storia e la geografia in discipline puramente astratte in cui non è prevista una didattica sul campo, quando invece il territorio circostante è “luogo” privilegiato di una didattica laboratoriale.
Dal punto di vista pedagogico, il passaggio è ugualmente netto: l’attitudine a ricordare viene tolta dal campo prefigurato del “dovere di memoria” per essere inscritta nello sviluppo di competenze fondate sulla “scelta” della memoria a cui appartenere e rivolte alla lettura dei comportamenti su larga scala e delle relazioni sociali.
In tal senso l’odierno sistema formativo non può non fare i conti con il concetto di competenza. Secondo Pellerey (Le competenze e il Portfolio delle competenze individuali, La Nuova Italia, 2004, p. 12) «nella competenza risiede la capacità di far fronte a un compito, riuscendo a mettere in moto e a orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e fecondo[…]».
Le raccomandazioni nazionali ed internazionali (Raccomandazione del Parlamento per l’apprendimento permanente -2008/C111/01; Bergan S. and Damian R. (eds.), Higher education for modern societies: competences and values, Council of Europe higher education series No.15 30/06/2010, Bruxelles; Regione Veneto, nov. 2009) sottolineano il ruolo chiave del processo di maturazione delle competenze e riconoscono, nella valutazione, l’elemento di maggior criticità e rilevanza. In particolare, come evidenzia Wiggins (Assessing student performance: Exploring the purpose and limits of testing, San Francisco, CA: Jossey-Bass, 1993) nel passaggio da una “scuola delle conoscenze” ad una “scuola delle competenze” tutto l’intero sistema di istruzione e formazione è coinvolto – dalla raccomandazione del Parlamento europeo sulle competenze chiave per la cittadinanza attiva al Programma OCSE-PISA. In questo processo “[s]i tratta di accertare non ciò che lo studente sa, ma ciò che sa fare con ciò che sa” (Castoldi M., Valutare le competenze. Percorsi e strumenti, Carocci, 2009).
Sul tema delle competenze geografiche e storiche sta lavorando da tempo la scuola francese con particolare attenzione all’integrazione dei quadri epistemologici di matrice storica e geografica (si ricorda Debray R., Les diagonales du médiologue, Bibliothèque nationale de France, Conférences del Duca, Paris 2001). Infine si rileva che il curriculum per competenze è oggi un paradigma predominante anche nell’educazione brasiliana e Sudamericana, a partire dalla scuola pubblica di base per giungere all’Università. Nel 1996 il Ministero dell’Istruzione Brasiliana (MEC) con la Legge Nazionale 9394/96 ha dato avvio alla riforma universitaria impostando il curricolo della formazione degli insegnanti per competenze introducendo l’ENCCEJA – l’Esame di Certificazione delle Competenze dell’Educazione dei Giovani e degli Adulti – suddiviso in macroaree scientifiche.
A partire da queste criticità si è voluto definire un momento di incontro con l’obiettivo di affinare, condividere e mettere a disposizione della comunità scientifica e scolastica, strumenti operativi e indicazioni concrete per la didattica della storia e della geografia e dell’educazione alla cittadinanza basata sul sistema di competenze.