Vi riproponiamo qui un articolo pubblicato dal sito Italyforkids.it disponibile qui.

Per il momento, siamo molto contente di pubblicare qui il contributo che hanno redatto per raccontarci qual è il valore “scientifico” della carta geografica nell’esperienza di un bambino.
Seduti a bordo dell’autobus della linea 94 a Milano, un pomeriggio di inizio primavera. Di fianco a noi un bambino di 9 o 10 anni in compagnia di una donna adulta, d’istinto ci viene da pensare che possa trattarsi di sua madre. L’autobus si ferma su un lato dei Giardini Pubblici, il bambino commenta “Pubblico vuol dire che è di tutti” e lei risponde “Sì! Ma come vedi ci sono luoghi per i cani, sentieri per correre, c’è un cancello per entrare e su quel cartello ci sono tutte le regole del parco”. Poche centinaia di metri oltre, l’autobus passa molto vicino ad una piazza denominata “area sportiva” (o qualcosa di simile) lungo via della Moscova. Lì sono stati costruiti campi da calcio a 5, da pallacanestro e varie altre strutture per allenarsi.
C’è il sole e queste attrezzature sono utilizzate da alcuni adolescenti che si trovano in quello slargo per giocare. Il bambino chiede: “Ma quanto siamo lontani da casa?”. La madre, forse perché non sa fornire una risposta precisa, furbescamente cambia discorso.
In pochi minuti siamo stati testimoni di come lo spazio urbano possa essere un’area per giocare o per fare sport, di come questi utilizzi siano sottoposti a delle regole e a dei confini precisi e di quanto la distanza e la posizione siano elementi fondamentali per dare senso ai luoghi. O meglio lo abbiamo intuito ascoltando il punto di vista di chi utilizza (o vorrebbe utilizzare) quei luoghi. Le funzioni, le regole e la posizione sono fondamentali nell’esperienza di un bambino o di una bambina che vive la città.
Come dire, usando un’espressione spesso abusata, “lo spazio conta”. Conta ancora anche nell’epoca delle app cartografiche caricate sugli smartphone, anche nell’epoca degli sterminati repertori di immagini e cartografie disponibili online, anche nell’epoca dei viaggi virtuali in luoghi e terre fino a pochi decenni fa solo immaginate.
L’esperienza urbana di quel bambino seduto vicino a noi è fatta di luoghi concreti, di limiti, di regole, di “cose che si possono fare” e “cose che si fanno qui e solo qui”, ma anche di “quanto siamo lontani da casa”, perché, forse, la prossima volta che prenderà l’autobus 94 gli verrà voglia di andare a giocare insieme a quei ragazzi che ha visto dal finestrino, mentre passava e si chiedeva quanto quella piazza fosse lontana da casa sua.
Esiste uno stratagemma che meglio di altri è in grado di trattare questi luoghi, questi limiti, queste distanze e queste funzioni come se fossero delle informazioni, e di mostrarle simultaneamente su un supporto concreto e utilizzabile anche da un bambino e una bambina. Esiste un trucco che mostra le coordinate che permettono al bambino di muoversi “dentro” quei luoghi e di “farsi un’idea” delle distanze e dei rapporti reciproci. Questo trucco riduce la città ad un foglio bidimensionale, disegna dei simboli che “stanno per qualcosa” e permette a chiunque di avere “sott’occhio” (in un momento, attraverso l’unica prospettiva che lo rende possibile, ovvero quella “vista dall’alto” o zenitale), i Giardini Pubblici, via della Moscova e i percorsi che collegano questi luoghi e le distanze tra loro. Questo trucco, ancora oggi, nell’epoca delle app e degli smartphone, si chiama “carta geografica”.
Per essere tale la carta geografica deve però dichiarare “di quanto” la realtà viene ridotta, attraverso la scala, deve illustrare, magari in un angolo, una regola che ci permetta di decodificare i simboli che sono stati scelti, una legenda insomma, e deve essere orientata in modo che anche la prospettiva zenitale abbia un senso.
Orientamento, scala e simbolismo sono le tre parole che rendono questo trucco, questo supporto chiamato carta geografica, un oggetto ancora attuale, anzi ancora molto potente nell’esperienza spaziale di quel bambino incontrato sulla linea 94. Avendo a disposizione un foglio pieghevole sul quale è disegnata un’immagine della città in scala, fatta di simboli, orientata e vista dall’alto, infatti, il bambino ha la possibilità di compiere una serie di operazioni di ordine intellettuale fondamentali per dare senso alla sua esperienza: ad esempio mettere in relazione la distanza tra i Giardini Pubblici e casa propria, e confrontarla con “quanto tempo ci abbiamo messo con l’autobus 94”, oppure posizionare via della Moscova rispetto a dove si trova la “mia scuola” o la “casa dei nonni”, e farlo in uno sguardo, senza andare su e giù con un dito su uno schermo.
Per farlo, certamente, e qui sta la potenza della carta, deve muoversi intellettualmente all’interno della sua grammatica, fatta di riduzione in scala, decodifica dei simboli e orientamento convenzionale (a Nord ad esempio).
La carta geografica, in altre parole, non è un semplice supporto che serve a “muoversi” in città. E’ un trucco che, dandomi la possibilità di osservare simultaneamente una serie di luoghi distribuiti nel centro di Milano, mi informa sulle distanze tra questi luoghi, mi dà un’idea della dimensione dello spazio nel quale mi dovrò muovere e, in un certo senso, mi aiuta a mettere in relazione questi oggetti.
Alcune di queste possibilità sono assolte anche dai supporti cartografici caricati sullo smartphone, ad eccezione della simultaneità. Lo schermo, per quanto grande possa essere, non mi restituisce che una porzione del territorio che andrò a esplorare. Per essere utilizzabile, spesso, questa porzione è molto ridotta e, a prima vista, non è in relazione con la totalità del centro urbano, se vogliamo continuare con l’esempio di Milano. Si può certamente, “viaggiare virtualmente nella mappa”, spostandosi sullo schermo, con il risultato, però, di perdere la visualizzazione del punto in cui ci troviamo. Oppure possiamo attivare lo zoom, ma in questo caso perdiamo la densità informativa contenuta nei dettagli.
Insomma, la simultaneità delle informazioni, le relazioni reciproche tra luoghi lontani e, soprattutto, l’opportunità di farci un’idea immediata della dimensione dello spazio e delle distanze relative da casa e il parco sono rappresentati al meglio solo su quel vecchio supporto pieghevole di carta, che si può infilare in tasca, sul quale si può scrivere, disegnare, aggiungere delle croci, o magari “leggere” insieme ai genitori durante un pomeriggio di inizio primavera mentre si viaggia per il centro di Milano.
Infine la carta è un oggetto magico, mi può trasformare in un gigante che può far sua la città, altrimenti troppo grande per me troppo piccolo, mi può permettere di abbracciarla con gli occhi, tutta assieme, tracciarvi dei percorsi che conducono ai tanti tesori che essa nasconde.
Stefano Malatesta, Enrico Squarcina
Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”
Università degli Studi di Milano-Bicocca